Danni alle radici da scavi
La legislazione italiana protegge la proprietà, la privacy e i rapporti di vicinato. Le regole che tutelano tali diritti sono contenuti nel Codice Civile (libro terzo – Della proprietà). Al Capo Secondo il codice affronta il problema della proprietà fondiaria indicando che “la proprietà del suolo si estende al sottosuolo con tutto ciò che se ne conviene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino”. Il Codice Civile pertanto permette di compiere qualsiasi escavazione sulla proprietà a patto che l’attività non sia regolata da leggi speciali e non rechi danno al vicino.
Fatta eccezione per qualche lungimirante regolamento del verde approvato in sporadiche città italiane, nulla viene detto sulle modalità di escavazione né sulla distanza minima di rispetto nei confronti degli alberi meglio definita come zona di protezione dell’albero (TPZ = Tree Protection Zone).
La TPZ rappresenta una zona di rispetto sacra atta a tutelare l’apparato radicale che conferisce stabilità strutturale all’albero.
Le dimensioni della TPZ dipendono dall’età dell’albero e dalla sua tolleranza agli interventi di costruzione dell’albero.
In Italia questi concetti non sono stati ancora acquisiti e pertanto i lavori di sistemazione del manto stradale o dei marciapiedi esulano da queste considerazioni. Spesso si vedono escavatori o benne che lavorano a ridosso dei colletti degli alberi provocando danni meccanici (lesioni al tronco, al colletto e alle radici) e chimici (compattazione con conseguente asfissia radicale o riduzione dell’attività trofica delle radici).
Gli inconvenienti da questo modo di operare si manifestano come deprimenti vegetativi, collasso e morte di alcuni esemplari, a volte anche pochi mesi dopo l’esecuzione degli scavi.
In arboricoltura negli ultimi anni si stanno facendo passi da giganti ed Eurogreen è sempre in prima linea per l’acquisizione di nuovi strumenti e tecnologie da applicare sia in campo urbano che in parchi e giardini storici.
Le nuove conoscenze tecniche e biologiche vengono immediatamente utilizzate dai tecnici Eurogreen per la creazione ed il mantenimento di elevati standard qualitativi del verde sia pubblico che privato.
Ed è proprio in tale direzione che Eurogreen interviene per il recupero di esemplari danneggiati da scavi e/o costruzioni con nuove applicazioni tecniche (l’uso di Air-Spade) e biologiche (la micorizzazione radicale).
L’esempio di S. Eufemia a Brescia
I lavori di rifacimento della viabilità nel quartiere S. Eufemia in Brescia hanno inevitabilmente interessato i tigli posti lungo la via Indipendenza.
Eurogreen è stata incaricata di eseguire opere di recupero fisio-morfologico di n. 9 esemplari di tiglio nelle cui vicinanze erano stati eseguiti lavori di scavo con conseguenti rotture di radici.
Le radici notoriamente svolgono una triplice funzione: a) ancoraggio al terreno; b) attività trofica; c) immagazzinamento di sostanze di riserva (energia). Interventi che determinano una riduzione dell’entità dell’apparato radicale comportano una riduzione della sua attività che va a riflettersi sull’intero albero.
In primo luogo i tecnici Eurogreen hanno provveduto ad una valutazione dei danni radicali.
Tale valutazione è stata eseguita utilizzando l’Air-Spade, uno strumento dotato di lancia e che, collegato ad un compressore, è in grado di generare un getto d’aria di velocità doppia rispetto a quella del suono.
I tecnici Eurogreen in questo modo hanno asportato lo strato superficiale del terreno e hanno messo a nudo le radici che presumibilmente erano state danneggiate dagli scavi. Tale operazione proprio perché utilizza un getto d’aria e non strutture meccaniche, rispetta le radici degli alberi senza provocare nessuna ulteriore lesione.
È stato così possibile mettere in evidenza i palchi radicali superficiali e individuare le radici lesionate dall’intervento precedente. Brandelli radicali e monconi devitalizzati possono costituire fonti di inoculo per pericolosi parassiti radicali agenti di carie e/o marciumi che possono portare alla perdita dell’intero albero. Le radici lesionate per tale motivo sono state rifilate con apposite cesoie, disinfettate con sali quaternari dopo ogni uso.
Gli alberi messi a dimora lungo i viali cittadini non hanno la possibilità di sviluppare il proprio apparato radicale liberamente in quanto costretti in ambiti ristretti (tornelli) in cui le radici non hanno grosse possibilità di esplorazione.
Per tale motivo i tecnici Eurogreen in questa stessa fase hanno valutato complessivamente gli apparati radicali dei tigli intervenendo con potature radicali ove avessero rilevato radici strozzanti, girdling roots (radici impazzite), radici ammalate e/o devitalizzate.
Il taglio radicale ha inevitabilmente impoverito le capacità trofiche degli alberi che, almeno nella fase iniziale, assorbono minori quantitativi di acqua e sostanze nutritive dal terreno.
Per garantire la buona ripresa vegetativa i tecnici Eurogreen sono allora intervenuti sia sulle chiome che sulle radici.
L’intervento sulle chiome ha riguardato una potatura di riequilibrio della parte epigea (chioma) nei confronti di quella ipogea (radice). La riduzione della massa vegetativa consente all’albero di ridurre le richieste trofiche alla radice evitando in tal modo uno stress idrico e nutritivo (lo stesso disagio si manifesta in caso di trapianti di alberi).
Contemporaneamente i tecnici Eurogreen hanno provveduto alla micorizzazione radicale. Si tratta in pratica di irrorare una miscela di funghi particolari sulla radice. Questi funghi benefici, chiamati appunto micorrize, sono in grado di instaurare rapporti simbiotici con le radici degli alberi.
Le ife della micorriza ricoprono completamente la radice e ne amplificano la capacità assorbente. In tale modo si compensa la minore quantità radicale con la maggiore attività del fungo in grado di trasferisce all’albero una parte cospicua delle sostanze che egli stesso riesce ad assorbire.
Si realizza pertanto un rapporto di simbiosi in cui la micorriza facilita la rigenerazione radicale con forte attenuazione degli stress sia idrici che nutrizionali.
La possibilità di valutare direttamente i palchi radicali mediante l’ausilio di Air-spade eseguita da personale tecnico qualificato ha permesso la formulazione di un piano di recupero delle alberature di via Indipendenza.
L’eliminazione delle radici danneggiate e/o con difetti, il riequilibrio delle chiome, la micorizzazione radicale hanno rappresentato tre indispensabili passi agronomici per la tutela e la salvaguardia del patrimonio arboreo del quartiere S. Eufemia in Brescia.
Reportage
Il potente getto d’aria generato da Air-Spade rimuove il terreno dalle radici
Il getto d’aria prodotto da Air-Spade non danneggia le radici
Nessun danno anche sulle radici più piccole
La pulizia effettuata con il getto d’aria mette in evidenza il palco radicale
La rimozione del terreno permette la valutazione dell’apparato radicale
Con la potatura vengono eliminate le radici danneggiate e ammalate
La potatura della parte aerea riequilibria la chioma con l’apparato radicale
Con la micorizzazione radicale si potenzia la ripresa e l’attività dell’apparato radicale
I Feromoni
Le foreste e il verde urbano hanno in comune un aspetto legato alla difesa fitosanitaria. In entrambi i casi è indispensabile che eventuali interventi fitoiatrici siano caratterizzati da basso impatto ambientale. Nel primo caso per la complessità dell’ecosistema; nel secondo per la tutela degli utenti.
La scoperta che gli insetti comunicano tra loro mediante l’emissione di segnali chimici attraverso l’emissione di sostanze, è stata di fondamentale importanza per un grosso salto di qualità nella protezione delle alberature dai fitofagi.
Queste sostanze se vengono utilizzate dagli insetti per la comunicazione intraspecifica (ad esempio tra maschio e femmina della stessa specie) sono definiti feromoni; se invece vengono utilizzati per la comunicazione interspecifica (tra individui appartenenti a specie diverse) sono chiamati allelochimici.
Nel primo gruppo vengono compresi, ad esempio, i feromoni sessuali emessi dalle femmine per attirare i maschi; al secondo gruppo appartengono gli allomoni tra i quali si annoverano lesostanze repellenti prodotte dalle cimici allo scopo di allontanare i predatori o comunque per segnalare un pericolo.
I feromoni sono sostanze molto volatili, prodotti da specifiche ghiandole a secrezione esterna e captate da speciali recettori posizionati generalmente sulle antenne degli insetti. La loro scoperta e lo studio delle loro caratteristiche ha consentito l’adozione di nuove strategie nella difesa delle piante e nel monitoraggio dei fitofagi.
In definitiva si è ben presto giunti alla consapevolezza che queste sostanze, opportunamente utilizzate, potevano modificare il comportamento degli insetti.
I più studiati sono stati i feromoni sessuali, secreti dalle femmine per facilitare l’incontro dei sessi. Alcuni di questi riescono a far sentire la loro presenza anche a chilometri di distanza. La loro applicazione pratica comprende:
- il monitoraggio: individuazione del periodo più idoneo per il trattamento di contenimento;
- la cattura massiva: captazione dei soggetti maschili che non potranno più attuare il processo fecondativo.
I feromoni di aggregazione al contrario determinano il richiamo e l’avvicinamento di individui appartenenti alla stessa specie. Prodotti ad esempio dai coleotteri che infestano le derrate alimentari, possono essere utilizzati per indurre gli insetti a indirizzarsi verso altre fonte alimentari. Questi feromoni, chiamati anche feromoni traccia vengono impiegati per favorire la migrazione di colonie (es. formiche).
Esistono poi i feromoni di dispersione. Gli scarafaggi (ad es.Blattella germanica) li emettono quando nell’ambiente la densità di popolazione diventa eccessiva. In questo modo gli insetti vengono indotti a disperdersi e viene quindi ridotta la competizione.
I feromoni di allarme, infine, rappresentano un sistema di comunicazione per avvertire la presenza di un pericolo.
I feromoni hanno dischiuso un nuovo modo per contenere i fitofagi e ben si adattano ad essere inseriti in un programma di difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale.
Il loro utilizzo può svolgere tre diverse finalità:
- prevenzione
- monitoraggio
- controllo
La prevenzione viene attuata con la tecnica del disorientamento. Le trappole vengono collocate in modo che i feromoni da esse rilasciate entrino in competizione con gli ormoni emessi naturalmente dalle femmine. In questo modo i maschi vengono disorientati nella loro ricerca e hanno una bassa probabilità di incontrare la femmina.
Il monitoraggio ha rappresentato la prima applicazione pratica dell’uso dei feromoni ed è ancora oggi alla base delle strategie di lotta guidata, integrata e biologica. Il monitoraggio utilizza trappole spia contenenti l’ormone specifico con l’obiettivo di tenere sotto controllo la densità di popolazione di un determinato fitofago per valutarne il danno ed il momento migliore per effettuare l’intervento di contenimento.
Il controllo viene eseguito utilizzando un maggior numero di trappole allo scopo di catturare il maggior numero possibile di individui maschi della specie da contenere. La cattura degli individui maschi rende difficile l’incontro tra individui di sesso opposto e di fatto abbassa l’entità delle copulazioni. La successiva generazione vedrà comparire un numero minore di individui tanto più la cattura massale sarà stata efficace. Deve però essere ben chiaro che il metodo non elimina totalmente l’insetto ma contiene la popolazione a livelli di accettabilità del danno.
Lotta biologica e processionaria
La processionaria del pino è un lepidottero defogliatore (Thaumatopoea pityocampa Den. e Schiff.) appartenente alla famiglia dei Taumetopeidi che può infestare il Pino e il Cedro. Il danno è causato dall’attività trofica delle larve a carico degli aghi: in casi particolarmente gravi si può arrivare anche alla completa defogliazione dell’albero.
Processionaria è però pericolosa anche per l’uomo: infatti il corpo delle larve è ricoperto di peli urticanti che possono provocare fastidiose irritazioni cutanee o, nei casi più gravi, pericolose irritazioni oculari, alle mucose e alle vie respiratorie.
Il problema si accentua alla fine dell’inverno quando, con l’innalzarsi delle temperature, le larve iniziano ad uscire dai nidi e abbandonano la pianta ospite muovendosi in processione nelle aree circostanti.
Il controllo di processionaria può essere effettuato mediantetrattamenti fitosanitari con insetticidi chimici a fine estate – inizio autunno.
Oggigiorno si tende a sostituire la lotta chimica con la lotta integrata la quale ha come obiettivo primario la riduzione dell’impatto ambientale causato dall’uso dei prodotti fitosanitari.
Anche il semplice passaggio dalla lotta a calendario alla lotta in base al superamento della soglia di tolleranza (lotta guidata) rappresenta un passo avanti in senso ecologico. Ma la tutela dell’ecosistema richiede la progressiva sostituzione, ove possibile, del trattamento chimico con altri interventi a minor impatto ambientale.
Premesso che la migliore tecnica di difesa fitosanitaria è rappresentata da misure preventive quali la sostituzione o comunque il non impiego di pino nero e pino silvestre al di fuori della fascia fitoclimatica di appartenenza, le tecniche di lotta utilizzabili vanno dall’antichissima consuetudine di asportare, e successivamente bruciare, i nidi invernali di processionaria (pratica efficace solo in caso di sporadiche infestazioni su pochi esemplari) alle più moderne acquisizioni di lotta biologica.
Se si eccettua l’impiego delle formiche del gruppo Formica rufa, che comunque non riescono a controllare infestazioni elevate in popolamenti forestali caratterizzati da un precario equilibrio ecologico/ambientale, la lotta biologica attualmente prevede due tipi di interventi:
-
lotta mediante l’utilizzo di feromoni;
-
lotta con Bacillus thuringiensis.
I feromoni sono particolari sostanze prodotte dalle femmine di molti insetti (fra cui processionaria) per attirare i maschi e possono essere utilizzati direttamente per la cattura massiva dei maschi ma anche indirettamente per il monitoraggio dei periodi di sfarfallamento degli adulti. La lotta con i feromoni risulta molto interessante per il basso impatto ambientale determinato dalla assoluta specificità e selettività dei feromoni.
Per le catture massali si utilizzano trappole a feromoni che vengono collocate ai primi di giugno (poco prima dello sfarfallamento) sui rami in posizione soleggiata e sul lato sud-ovest dell’albero. Nei parchi e giardini pubblici si mettono da 6 a 8 trappole/ettaro, distanti tra loro 40-50 metri. Nelle pinete vanno sistemate ogni 100 metri lungo il perimetro e le strade di accesso.
Prove effettuate rendono comunque evidente il fatto che il controllo diretto (cattura massiva) risulta essere efficace solo in caso di infestazioni di bassa entità o per singoli esemplari. Pertanto spesso l’uso dei feromoni è limitato ad una funzione di monitoraggio che prevede l’uso di trappole con attrattivi sessuali (i feromoni, appunto) che permettono di segnalare con tempestività l’inizio del volo degli adulti.
Per infestazioni di maggiore entità è preferibile l’uso di Bacillus thuringiensis var. kurstaki, un batterio sporigeno che agisce per ingestione ed esplica il suo effetto a livello degli organi interni delle larve di lepidottero producendo un cristallo proteico. Questo, una volta ingerito dalla larva del lepidottero provoca, inizialmente, la diminuzione dell’appetito e nel giro di 3-4 giorni il decesso.
La sospensione batterica è assolutamente non tossica per gli animali a sangue caldo e non ha alcun effetto collaterale per altri insetti, pesci, rettili e uccelli e pertanto i trattamenti possono essere eseguiti anche su estese aree mediante l’impiego di elicotteri.
Le epoche di intervento sono due: in settembre-ottobre sulle giovani larve e tra la fine di marzo e l’inizio di aprile sulle larve che riprendono l’attività trofica. Dei due, il trattamento autunnale è quello che contiene maggiormente i danni al fogliame a causa delle elevate esigenze alimentari delle giovani larve. Il trattamento deve essere eseguito al crepuscolo poiché il bacillo è fotosensibile e mai in previsione di pioggia in quanto facilmente dilavabile.
La lotta alla Processionaria del pino è obbligatoria su tutto il territorio nazionale ai sensi del D.M. 17 aprile 1998.
Melasoma populi L.
Più comunemente conosciuto come crisomela del pioppo, vive appunto a spese dei pioppi e solo occasionalmente può attaccare i salici.
E’ un coleottero defogliatore il cui adulto, lungo 10-12 mm, è facilmente riconoscibile per le vistose elitre rosso mattone.
I danni sono provocati sia dagli adulti che dalle larve ma mentre gli adulti si limitano a effettuare caratteristiche bucherellature del lembo fogliare, le larve compiono dapprima erosioni dell’epidermide e del parenchima di entrambe le pagine. Successivamente l’attacco non risparmia neppure le nervature per cui la pianta può rimanere completamente scheletrizzata in caso di pesanti attacchi.
La crisomela sverna allo stadio di adulto nel suolo fra i resti disseccati della vegetazione spontanea o fra le foglie cadute a terra e già in primavera è in grado di provocare le prime erosioni sulle giovani foglie.
Dopo essersi adeguatamente alimentata, la crisomela si accoppia e le uova vengono deposte sulla pagina inferiore delle foglie a gruppi di qualche decina di elementi. Queste sono di colore giallo e diventano arancioni in prossimità della schiusura. L’ovodeposizione è scalare nel tempo e può protrarsi anche per 30-40 gg.
Le larve, bianche con punteggiature nerastre su tutto il corpo, nascono dopo un periodo di incubazione di una decina di giorni e vivono inizialmente gregarie per poi disperdersi sull’albero in prossimità della maturazione che sopraggiunge nel giro di un mese.
La metamorfosi avviene sulla pagina inferiore della foglia e porta alla comparsa dell’adulto nel giro di una settimana. L’impupamento è alquanto caratteristico poiché la pupa rimane appesa con la parte distale dell’addome all’epidermide inferiore della foglia.
In estate l’insetto compie una seconda generazione con comparsa degli adulti in settembre.
In autunni miti può comparire anche una terza generazione ma le larve non riescono mai a completare lo sviluppo e muoiono con i primi abbassamenti di temperatura.
Le saltuarie pullulazioni possono comportare gravi danni per i pioppeti, soprattutto in quelli più recenti.
Reportage
Le uova di Melasoma populi vengono deposte sulla pagine inferiore dele foglie di pioppo e salice
Le larve di crisomela rodono le foglie scheletrizzando completamente gli alberi
Inizialmente gregarie, successivamente le larve di crisomela diventano solitarie
A maturità la larva di crisomela si impupa rimanendo appesa alla foglia con la parte posteriore
Gli adulti di Melasoma populi compaiono a giugno e successivamente a settembre
L’accoppiamento segue una fase di intensa nutrizione per consentire la maturazione delle gonadi
Caliroa sp.
Al genere Caliroa appartengono tre specie di imenotteridefogliatori: C. annulipes, C. cinxia e C. varipes. Tutte le caliroe hanno come ospite specifico la quercia ma occasionalmente sono in grado di trasferirsi sul pioppo.
Tra le querce risultano poco sensibili Quercus rubra, Q cocciferae Q. suber.
Il danno è provocato dalle larve il cui corpo è completamente rivestito da una sostanza scura viscosa, emessa da ghiandole tegumentali, che li rende nero lucenti e le fa assomigliare a piccole lumachine. Questa sostanza mucosa quando la larva raggiunge la maturità scompare.
La forma delle larve è cilindrica con dilatazione nella parte anteriore. Esse hanno un comportamento gregario, divorano i tessuti della pagina inferiore delle foglie (parenchima) rispettando invece le nervature principali.
In caso di forti infestazioni, le larve, particolarmente voraci, scheletrizzano gran parte dell’apparato fogliare facendo acquisire all’albero attaccato un precoce habitus autunnale già in piena estate.
Gli adulti sono di colore nero, lunghi da 5 (C. cinxia e C. varipes) a 10 mm (C. annulipes). Le femmine depongono diverse decine di uova sull’epidermide della pagina inferiore delle foglie.
Le uova maturano nel giro di due settimane; a maggio fuoriescono le larve che raggiungono la maturità nel giro di un paio di settimane. Queste, una volta terminata la loro attività trofica, si lasciano cadere al suolo dove si imbozzolano.
Gli adulti di C. varipes e C. annulipes compaiono a giugno e compiono due generazioni in un anno.
Talvolta si può formare una terza generazione che però non riesce mai a giungere a compimento.
C. cinxia invece compie una sola generazione annuale e gli adulti compiono il loro primo volo a settembre.
Lo stadio di svernamento è invece uguale per tutte e tre le specie: nel terreno la larva si protegge all’interno di un bozzolo e trascorre l’inverno (larva imbozzolata).
Il monitoraggio viene svolto controllando il volo degli adulti (a giugno e a luglio) allo scopo di identificare il periodo di massima schiusura delle uova e quindi il momento migliore per contenere e ridurre l’attività delle larve.
La difesa viene condotta utilizzando prodotti citotropici che bloccano l’attività larvale.
Reportage
Il genere Caliroa attacca le foglie delle querce
Le larve divorano la pagine inferiore delle foglie
La forma delle larve di Caliroa è caratteristica: cilindrica con dilatazione della parte anteriore
L’attacco larvale porta alla scheletrizzazione delle foglie
Viene risparmiato unicamente il mesofillo fogliare
Danni ingenti si registrano soprattutto sulle querce in età giovanile
Gli adulti compaiono a giugno
Hyphantria cunea (Drury)
Hyphantria cunea (Drury) è un lepidottero defogliatore polifago, appartenente alla famiglia degli Arctidae. Segnalato in Europa per la prima volta negli anni Quaranta in Ungheria, la sua presenza in Italia risale ai primi anni Ottanta in Emilia.
Pur avendo una spiccata preferenza per acero (in particolare Acer negundo) e gelso, molto rare sono le piante arboree che sono state risparmiate dalla defogliazione negli anni Ottanta, periodo durante il quale l’arctide ha manifestato i maggior danni: tra queste si segnala la robinia.
È stata segnalata anche su alcune coltivazioni erbacee come il mais e la soia.
Gli adulti, farfalline bianche con piccole maculature nere sulle ali anteriori, compaiono da aprile ma è a maggio che la loro presenza raggiunge i picchi più elevati.
Ogni femmina è in grado di produrre anche un migliaio di uova deponendole preferibilmente sulla pagina inferiore delle foglie a gruppi di 50-100 unità.
Dalle uova dopo 15-20 giorni fuoriescono piccole larve che iniziano subito a costruire piccoli ma inconfondibili nidi sericei e biancastri raggruppando 2 o più foglie. All’interno di questi ricoveri le giovani larve si nutrono, in modo gregario, del mesofillo fogliare lasciando intatte le nervature principali. Le larve dopo le prime mute assumono un aspetto particolare per la presenza di lunghi peli bianchi e neri che ricoprono il corpo e vivono solitarie.
Contrariamente alle larve di Processionaria (Thaumetopoea pityocampa), questi peli non sono urticanti e non provocano fenomeni allergici.
L’effetto visivo di questo attacco e la defogliazione delle porzioni apicali dei rami e delle branche più esposte al sole.
L’attività defogliatrice prosegue fino all’incrisalidamento che avviene nel mese di luglio tra le spaccature della corteccia, fra i detriti alla base del tronco o in altri ripari.
Il secondo volo è il preludio per la comparsa della seconda generazione larvale (inizio agosto) che in caso di forte infestazione può portare alla completa defogliazione dell’albero.
In autunni particolarmente caldi si può presentare anche una terza generazione che comunque mai riesce a completare il ciclo.
L’inverno viene trascorso come crisalide al riparo sulla pianta o presso altro ricoveri (sottotetti, garage, etc.).
Negli anni Ottanta Ifantria ha costituito un vero flagello per gli alberi in città, nei parchi urbani ma anche in zone naturali come i boschi. In quel periodo non erano infrequenti gli attacchi anche ai frutteti con danni anche sui frutti.
Il danno è di ordine sia estetico (precoce defogliazione) che fisiologico con forti ripercussioni sulla vitalità degli alberi e sul loro accrescimento (riduzione dell’attività fotosintetica).
Il successivo contenimento della popolazione del lepidottero è in parte attribuibile a fattori abiotici come la sensibilità alle basse umidità e alle basse temperature. Il freddo invernale è in grado infatti di eliminare le crisalidi non ben protette. Il limite termico di sviluppo è di 9°C mentre gli adulti, con attitudini spiccatamente crepuscolari, richiedono almeno 15°C.
La difesa nei confronti della prima generazione può anche essere di tipo meccanico mediante l’asportazione dei nidi. Tale tecnica è comunque praticabile in caso di bassa infestazione e qualora i nidi siano facilmente accessibili.
Contrariamente, soprattutto quando l’infestazione è stata notevole nell’anno precedente, è necessario intervenire sia sulla prima che (soprattutto) sulla seconda generazione.
Ottimi risultati sono stati conseguiti con il Bacillus thuringiensis, un batterio sporigeno in grado di agire sulle giovani larve in attiva defogliazione. Meno brillanti sono i risultati sulle larve più mature che nutrendosi di meno o affatto non ingeriscono il microrganismo.
Pertanto per una buona riuscita di contenimento di Ifantria è indispensabile monitorare il momento adatto per il trattamento, utilizzando trappole a feromoni che permettono la cattura dei maschi e l’individuazione del momento migliore per colpire le piccole larve voraci.
Reportage
Le giovani larve si nutrono del mesofillo fogliare lasciando intatte le nervature principali
All’interno dei nidi costruiti riunendo più foglie, le larve continuano a nutrirsi del mesofillo fogliare
I danni sono ben evidenti sulle porzioni apicali degli esemplari arborei
Giovani larve di Hyphantria cunea in attività trofica.
Le larve di Hyphantria cunea sono dotate di un robusto apparato boccale masticatore
Le larve sono dotate di lunghe setole caratteristiche assolutamente inoffensive
Zampe toraciche in evidenza in larva di Hyphantria cunea
Larva matura di Hypantria cunea
Cossus cossus (L.)
Cossus cossus (L.) è un lepidottero polifago e xilofago. Comunemente chiamato “rodilegno rosso“, è in grado di svilupparsi a spese di centinaia di specie arboree (latifoglie) ma talvolta anche su piante erbacee come il carciofo o la barbabietola.
Gli adulti compaiono già nel mese di maggio, ma il massimo dello farfallamento, che prosegue ininterrotto fino a settembre, si ha in giugno e luglio.
Di colore marron-grigio con striature nerastre e il corpo tozzo e peloso, sono di notevoli dimensioni avendo un’apertura alare di 7-9 cm. Il colore del corpo si confonde con il colore della corteccia.
Le femmine sono poco mobili e frequentano preferibilmente i tronchi dove, dopo 48 ore dall’accoppiamento, possono deporre fino a 800 uova in gruppi di 20-30. Le uova vengono infilate, nella parte basale del tronco o in prossimità del colletto, tra le screpolature della corteccia e questo spiega il motivo per cui sono gli alberi adulti ad essere attaccati piuttosto che i giovani a corteccia ancora liscia.
Le screpolature della corteccia permettono alla femmina di mimetizzarsi e quindi di deporre le uova senza alcuna interferenza.
A volte l’ovideposizione, che dura in pratica tutta l’estate, può avvenire anche alla base delle branche ma in genere non sopra i due metri di altezza.
Il periodo di incubazione è di circa 2 settimane alla fine del quale fuoriescono le giovani larvette che mantenendo un comportamento gregario, incominciano a scavare sotto la corteccia fino ad arrivare al cambio. Qui trascorrono indisturbate l’inverno.
All’inizio della primavera successiva le larve riprendono i loro scavi e, questa volta individualmente, si approfondiscono nel legno fino a raggiungere il midollo ed emettendo, dai fori delle gallerie, un liquido scuro mescolato a rosure stoppose ed escrementi.
In genere le gallerie hanno un andamento acropeto.
E’ in questa fase che l’albero subisce i maggiori danni. L’escavazione delle larve, che nel tempo si ingrossano fino a raggiungere le dimensioni di un dito medio, interrompono il flusso sia ascendente che ascendente dei liquidi penalizzando notevolmente l’attività vegetativa e la durata della vita dell’albero.
Inoltre le gallerie larvali riducono la portanza dei tessuti di sostegno dell’albero creando una situazione di rischio di schianto imprevedibile. Se vengono attaccati i rami, questi possono spezzarsi facilmente per azione del vento o sotto il peso della neve.
Nelle piante coltivate per il legno si ha inoltre il deprezzamento del legname intaccato dalle gallerie e spesso anche deformato.
Nei climi più freddi l’attività xilofaga della larva prosegue per due stagioni e quindi il ciclo può durare 3-4 anni. Più frequentemente il ciclo si conclude dopo il secondo inverno quando le larve completano il loro sviluppo e iniziano a dirigersi di nuovo verso la superficie.
Le larve a maturità possono raggiungere anche i 10 cm di lunghezza: sono rosa con il capo nero da giovane e diventa più scura con la maturità. Pare che le loro mandibole siano così potenti da perforare il piombo (!).
L’incrisalidamento avviene nella zona sottocorticale in un bozzolo protetto verso l’esterno da detriti legnosi e rosume che otturano il foro di uscita, predisposto per tempo. La sfarfallamento dell’adulto avviene dopo circa un mese.
A volte può capitare anche che l’incrisalidamento avvenga nel terreno o su altre piante erbacee nelle parti a struttura legnosa (es. gambo del carciofo).
Nonostante il ciclo particolarmente lungo, Cossus cossus ha un elevato potenziale biotico determinato dalla notevole prolificità e fecondità delle femmine. Inoltre le larve e le uova riescono a resistere anche a temperature di -20°C. In pratica il freddo invernale che limita e attenua la sopravvivenza di alcune specie patogene, ha trascurabili effetti sulla popolazione del cosside.
Le piante dal canto loro oppongono una blanda difesa alla diffusione interna della larva che talvolta può venire inglobata con la linfa a livello sotto-corticale e quindi uccisa. Si è visto che in alberi in ottime condizioni vegetative, l’abbondante circolazione della linfa ostacola di fatto lo sviluppo delle larve.
Una certa azione di contenimento viene svolta dai predatori (uccelli, pipistrelli, etc.).
La lotta al cosside deve necessariamente basarsi sull’individuazione del volo degli adulti tramite le trappole a feromoni. A volte si possono ottenere successi anche con il metodo della confusione utilizzando le stesse trappole in maggiore numero e rendendo in tal modo più difficile l’incontro tra i sessi.
La lotta chimica deve essere condotta sulle larve appena sgusciate dalle uova e che ancora non si sono eccessivamente approfondite nel legno, irrorando i tronchi soprattutto nella parte basale. I migliori prodotti sono quelli ad azione citotropica che riescono ad attraversare gli strati più superficiali della corteccia.
In caso di infestazioni molto pesanti non è da escludere la distruzione delle piante colpite.
Ormai in disuso è la lotta meccanica eseguita con fili di ferro che vengono infilati nelle gallerie scavate dalle larve.
Una curiosità finale: con il nome Cossus gli antichi romani indicavano un piatto a base di grosse larve xilofaghe: non è però dato sapere se fossero larve di Cossus cossus o di qualche coleottero xilofago.
Reportage
Rosure che identificato il foro di uscita delle larve del Rodilegno rosso
Rosure stoppose ed escrementi in prossimità dei fori di uscita delle gallerie larvali
Giovani larve di Cossus cossus appena sgusciate dalle uova che inziano a scavare nella corteccia
Larva adulta di Rodilegno rosso che emerge dalla galleria larvale
Larva matura di Rodilegno rosso pronta a incrisalidarsi.
Larva matura di Cossus cossus
Larva matura in prossimità della galleria d’uscita
Larve di diversa età
Phomopsis juniperovora Hart.
La Phomopsis juniperovora Hart. è un fungo agente del cancro degli apici di alcune conifere tra le quali spiccano i generi Cedrus e Cupressus.
Il fungo attacca preferibilmente le giovani piante ma negli ultimi anni si è rilevata la sua presenza anche su esemplari adulti.
L’attacco avviene sulle foglie apicali più giovani che subiscono un viraggio di colore: diventano prima verde chiaro e poi color ruggine. Il sintomo è ben visibile anche da lontano: nella chioma verde si individuano facilmente rametti color ruggine che spesso assumono un portamento assurgente.
Ad un’analisi ravvicinata si vede che il disseccamento si verifica sulla parte di ramo dell’anno, agevolmente distinguibile per la diversa sezione. Le foglie mature o più vecchie appaiono resistenti.
Scortecciando con una lama affilata si nota che nel punto in cui gli aghi sono necrotici, il legno è completamente imbrunito.
L’infezione è favorita da primavere umidi e piovose, elevata umidità e temperature fresche.
Il fungo riesce a penetrare nei rametti se trova delle soluzioni di continuità. Fattori predisponenti possono essere le lesioni provocate dal gelo invernale che colpisce in particolar modo le zone periferiche della chioma, ma anche ferite provocate da insetti.
In vivaio è stato dimostrato che le irrigazioni sopra-chioma favoriscono l’infezione.
La lotta contro la Phomopsis juniperovora è sia di tipo agronomico che chimico. Nel primo caso è utile asportare i rami infetti che possono costituire fonte di inoculo per le piante adiacenti, disinfettando subito dopo il taglio la ferita prodotta.
Altri accorgimenti agronomici, limitati alle condizioni da vivaio, sono il diradamento delle irrigazioni sopra-chioma e l’allargamento dei sesti di impianto.
La lotta chimica prevede l’utilizzo di prodotti ad azione sistemica che vengono assorbiti dalla pianta e traslocati all’interno di essa, sfuggendo all’azione dilavante delle piogge.
Il fungo è particolarmente attivo durante le stagioni piovose e arresta il proprio sviluppo durante l’estate. Per tale motivo è importante che la difesa venga attuata nel momento in cui il fungo è metabolicamente attivo.
Reportage
Phomopsis juniperovora è l’agente del cancro degli apici su diverse conifere ed in particolar modo sul genere Cedrus
L’attacco di Phomopsis si manifesta sulle zone periferiche della chioma
I rami avvizziscono e virano di colore perdendo successivamente gli aghi
L’attacco avviene sui rami dell’anno e come fattore predisponente vi sono le ferite da gelo o meccaniche
Scortecciando il ramo in prossimità del disseccamento è possibile individuare la zona cancerosa
Il sistema albero
Gli alberi sono piante legnose che possono raggiungere rilevanti dimensioni. Grandi laboratori biochimici in grado di trasformare l’energia luminosa in energia chimica e attraverso questa elaborare molecole complesse che andranno a costituire la loro struttura, rappresentano l’anello di base del ciclo vitale della materia.
Il processo fotosintetico mantiene sotto controllo il contenuto di anidride carbonica nell’aria e nel contempo la arricchisce continuamente di ossigeno, elemento indispensabile per la nostra esistenza.
Gli alberi captano gli inquinanti diffusi nell’aria, abbattono lepolveri sospese, attenuano i rumori, impediscono l’erosione superficiale, modificano il microclima stemperando gli eccessi termici, fitodepurano l’acqua contenuta nel suolo ma possiedono anche effetti benefici di tipo paesaggistico e sociale.
Un ambiente alberato è sicuramente più piacevole rispetto ad un ambiente spoglio e/o dominato da strutture cementizie. Funzioni ricreative e naturalistiche si fondono insieme per la realizzazione di un paesaggio di elevato valore estetico e rendono più accattivante l’ambiente attraverso la modulazione di forme e colori variabili nel tempo.
Se si vogliono preservare gli alberi affinchè essi mantengano le caratteristiche di bellezza, sanità, sicurezza e longevità, bisogna partire da un presupposto fondamentale: la conoscenza della loro biologia. Solo comprendendo i fenomeni morfo-fisiologici che avvengono negli alberi, sarà possibile attuare tutte le strategie che permettano loro di crescere, svilupparsi e vivere a lungo.
La biologia degli alberi comprende lo studio della loro anatomia e delle loro funzioni, dei processi fisiologici che permettono loro di interagire con l’ambiente circostante e dei problemi patologici connessi con le interazioni con l’uomo, l’ambiente, i parassiti animali e vegetali.
Le foglie
Le foglie possono essere considerate il laboratorio chimico di un albero. Svolgono diverse funzioni la più importante delle quali è l’attività trofica.
Le piante notoriamente mangiano attraverso la radice e attraverso le foglie. Le prime assorbono acqua ed elementi nutritivi semplici (sostanze inorganiche come nitrati, solfati, fosfati, etc.). Le foglie tramite la fotosintesi clorofilliana costruiscono, partendo dalle molecole assorbite dalla radice, dalla anidride carbonica contenuta nell’aria e grazie all’energia luminosa fornita naturalmente dal sole, tutte le molecole organiche di cui necessitano (carboidrati in primo luogo ma anche proteine, lipidi e acidi nucleici).
Le molecole così sintetizzate vengono veicolate al resto della pianta per essere utilizzate nei processi respirativi (produzione di energia), nella costruzione delle singole parti della pianta (rami, radici, foglie) oppure vengono accumulate sottoforma di sostanze di riserva.
Strutturalmente nelle latifoglie la foglia è una lamina appiattita costituita da due lembi rivestiti da due epidermidi (una superiore e una inferiore) che racchiudono il mesofillo fogliare.
Sull’epidermide inferiore sono presenti gli stomi, minuscole aperture attraverso le quali l’anidride carbonica può penetrare e arrivare fino ai centri fotosintetici (i cloroplasti). Nel contempo nella foglia avviene un altro scambio gassoso: acqua sottoforma di vapore esce attraverso gli stomi dando luogo allatraspirazione. Quando la pianta traspira, una lunga colonna di acqua si muove lungo il sistema vascolare dalle radici fino alle foglie provocando l’assorbimento di altra acqua e dei relativi minerali disciolti in essa.
Le nervature ben evidenti sulle lamine fogliari costituiscono l’estremità apicale del sistema conduttore (xilema e floema).
Luce e acqua stimolano l’apertura degli stomi. Ma quando la temperatura si alza troppo, la pianta per non perdere troppa acqua, chiude gli stomi e blocca pertanto la fotosintesi (stress idrico).
Sia le piante a foglia caduca che le sempreverdi ricambiano periodicamente il proprio fogliame. Le caducifoglie perdono le foglie in un breve lasso di tempo rimanendo spoglie per tutti i mesi invernali. Le piante sempreverdi invece conservano le foglie per più anni (generalmente 2-3) e quindi il loro distacco è prolungato nel tempo.
Il distacco della foglia si ha mediante la produzione di un setto di separazione tra la base del picciolo e il fusto. Prima però che si formi il setto la pianta provvede a prelevare dalla foglia tutte le sostanze che potrà immagazzinare e riciclare successivamente. È per questo motivo che le foglie in autunno cambiano colore virando al giallo, rosso o marrone.
La radice
L’apparato radicale di un albero svolge un triplice ruolo: sostegno, nutrizione e riserva. La funzione di sostegno viene svolta dalle radici più grosse che hanno una struttura molto estesa e ancorano l’albero al terreno. Le porzioni terminali, molto sottili e riccamente coperte da minuscoli peli radicali hanno invece il compito di rifornire continuamente l’albero di acqua e sostanze minerali. Nel contempo la radice accumula sostanze di riserva che potranno essere utilizzate per la creazione di nuovi tessuti.
L’apparato radicale ha un andamento preferibilmente orizzontale. Nei primi 30-35 cm di terreno è compreso il 90% dell’apparato ipogeo poiché in questo strato vi è la maggior disponibilità di ossigeno, indispensabile per la respirazione cellulare, e di acqua. La sua espansione è continuamente tesa alla ricerca di acqua e sostanze nutritive, in competizione con le radici di altre piante e dei microrganismi normalmente presenti nel suolo.
La sua crescita si attua per allungamento e aumento del diametro. L’allungamento avviene solo nella parte terminale dove è presente uno strato gelatinoso di cellule chiamato cuffia (1-2 mm) che ha lo scopo di perforare il terreno consentendo la crescita della radice. Al di sotto della cuffia si trova l’apice radicale che è costituito da cellule in continua divisione (cellule meristematiche) e che sono le vere responsabili dell’avanzamento della cuffia.
Seguono la zona di differenziazione e la zona pilifera. La prima, priva di peli, viene anche chiamata zona liscia ed è estremamente importante poiché è qui che si incominciano a differenziare i tre tessuti fondamentali della radice: il tessuto tegumentale, il tessuto parenchimatico ed il tessuto vascolare.
La zona pilifera è la diretta responsabile della funzione trofica della radice. I peli radicali che la compongono sono strutturati in maniera tale da permettere, mediante fenomeni osmotici, l’assorbimento di acqua e sostanze nutritive minerali. I peli radicali hanno una vita molto limitata (circa 1 mese).
Quando la radice perde i peli radicali smette la sua funzione trofica, diventa legnosa ed assume la duplice funzione di ancoraggio e riserva. L’assorbimento pertanto è circoscritto ad una zona ben limitata della radice. Purtroppo durante i trapianti buona parte della superficie assorbente viene persa. Per questo motivo diventa di fondamentale importanza, per un buon attecchimento dopo il trapianto, che le dimensioni della zolla siano adeguate alle dimensioni dell’apparato radicale.