Funghi degradatori del legno


I funghi che deteriorano il legno hanno un comportamento insidioso, la loro azione distruttiva si potrebbe rivelare a distanza di tempo dall’inizio delle infezioni, quando i danni sono ormai consistenti.
Alcune specie xilofaghe causano al legno in opera danni irreversibili, riducendolo ad un materiale cedevole al tatto e privo di qualsiasi resistenza.
I funghi in natura partecipano al ciclo della sostanza organica, come i tarli contribuiscono al deterioramento dei residui vegetali di un bosco o di una foresta: sbriciolando foglie, rami e tronchi degli alberi, fino a corromperli nella trama del terreno.
Se sugli alberi vivi hanno possibilità d’infezione attraverso le rotture di rami, ferite, tagli ecc., sul legname in opera le contaminazioni sono facilitate delle ampie zone lavorate: tagli di testata e fresature dei prospetti delle travi.
Perché i funghi si diffondano su un manufatto o si ramifichino a più membrature dello stesso organismo di struttura, è necessario che sussistano particolari condizioni ambientali, soprattutto di temperatura e di umidità. Se il legno strutturale non è sufficientemente secco va incontro ad attacchi di funghi lignivori.

La normativa vigente stabilisce l’esistenza del rischio di attacco fungino quando il legno si trova a un’umidità superiore al 20%. La stessa norma prevede un abbassamento del limite di sicurezza al 18%, per legni che abbiano subito in passato attacchi di funghi. E’ un’avvedutezza da far durare nel tempo, poiché, dopo un arresto di attività il fungo potrebbe ritornare attivo se, per via dell’igroscopicità il legno si dovesse inumidire ancora.
Il problema trova corrispondenza pratica nei casali e nei palazzi un tempo diroccati, poi ristrutturati recuperando materiale anche dai sedimi. Per molti anni l’umidità si può infiltrare nei legni e nei muri: manufatti lapidei e di legno al momento del recupero vengono di frequente solo rassettati, e riposti in opera senza particolari indagini e trattamenti; aderendo a un – virtuoso – criterio di sostenibilità e caratterizzazione degli ambienti. Le due immagini del carpoforo di Serpula lacrimans (sopra) si riferiscono ad un caso analogo: dopo soli sei mesi dalla ristrutturazione, nelle tavole dei pavimenti di un elegante cascinale, il fungo si è manifestato ramificando e impiantando le ife e i cordoni miceliari, anche attraverso i muri spessi più di ottanta cm.

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Serpula lacrimans è un’agente di carie bruna che riesce a sfruttare umidità vicine al 20%, per questa sua prerogativa lo si rinviene non di rado nelle case, specie se costruite in zone umide, come a esempio nei fondo valle. L’evoluzione della sua carie è piuttosto rapida: è un fungo aggressivo con abilità pionieristica e ha capacità di sopravvivenza anche in condizioni svantaggiose. Serpula lacrimans estende le sue ife e i cordoni miceliari facendosi strada tra le infrastrutture di un edificio, trasportando sostanze nutritive e acqua verso quartieri di sviluppo più poveri di questi elementi. “E’ stato stimato che un carpoforo di Serpula lacrimans di un metro quadrato, produce circa 60 milioni di spore al minuto per una durata di alcuni giorni.” (Patologia del legno – Anselmi Govi – Edagricole).
L’esempio di questo fungo distruttore di legname strutturale fa pensare. Quando
s’immaginano le alterazioni del legno, il pensiero corre ai tarli, e non si riflette abbastanza sull’eccezionale capacità distruttiva dei funghi. Ho una certa esperienza, e ripensando alle tante visite fatte sui cantieri di case in restauro, ricordo rari casi – non oltre le dita di una mano – di travi ammalorate solo dai tarli, ma posso dire di centinaia di manufatti ridotti dai funghi all’aspetto di un wafer.

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Indagando con curiosità questi manufatti integralmente rovinati, si scoprivano la successione e l’evoluzione degli eventi biodeterioranti: i legni erano stati prima attaccati dai tarli, quasi sempre della famiglia dei Cerambicidi; poi dai funghi. E’ la stessa vicenda dell’albero sradicato dal vento e caduto a terra in una foresta o di una ceppaia abbandonata nel bosco: un corso naturale che proseguirà fino allo sbriciolamento del tronco e dei rami.

 

Tarli e funghi in un ecosistema naturale hanno un rapporto “simbiotico” nella degradazione del legno. Nell’ecosistema di una casa questa relazione è deformata dalle qualità artificiali dell’ambiente, e i meccanismi deterioranti potrebbero essere asimmetrici: il clima di una casa è meno variabile di quello di un habitat naturale; le particolari e stabili condizioni termo igrometriche domestiche in alcuni casi potrebbero favorire gli xilofagi.
Nella fotografia sotto è rappresentata una trave smontata dal tetto di un casale da tempo abbandonato, sono evidenti i fori di sfarfallamento degl’insetti xilofagi. La copertura era in opera in un ambiente relativamente umido; la consistenza del manufatto era infima, principalmente per l’azione dei funghi degradatori.

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Le dinamiche delle infezioni rendono complici le larve dei tarli che in particolari circostanze potrebbero veicolare: spore, conidi o frammenti d’ife all’interno delle gallerie. L’ambiente protetto e la respirazione delle larve sarebbero in grado di produrre una temperatura e un’umidità ottimali per la germinazione delle spore e per lo sviluppo del micelio; le ife del fungo crescendo si estenderebbero sulle pareti dei tunnel ricavando i principi nutritivi anche dagli escrementi delle larve.

Nel caso di forti infestazioni di tarli accertare l’esistenza di funghi cariogeni è aspetto che qualifica l’analisi; un’interazione tra legno e fungo xilofago favorevole a quest’ultimo, potrebbe determinare gravi danni strutturali. I danni irreversibili che alcune specie di funghi potrebbero determinare al legno non giustificano l’assoluta centralità assegnata dal settore della disinfestazione al tema dei tarli rispetto ai funghi, quasi sempre gravemente trascurati.

Anche per i funghi xilofagi la tecnologia più sicura per ottenere la risoluzione del problema, è un sistema fisico che prevede l’integrazione di aria calda direttamente insufflata e calore indotto da un campo elettromagnetico. Oltre al riscaldamento realizzato con tecniche diverse rispetto al trattamento antitarlo, si dovrà integrare con sostanze fungi-statiche anche iniettate nei muri, per condizionare la diffusione del fungo nelle pareti.
Con il sistema integrato si conseguirà il fine di un innalzamento omogeneo e controllato della temperatura del legno, anche nelle porzioni di manufatti comprese nei muri.

Sono tecnologie a basso impatto ambientale che richiedono solo un parziale sgombero dei locali e garantiscono un uso sicuro degli ambienti dopo il trattamento.

© Graziano POLI

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